La pandemia di Coronavirus ha impresso una forte accelerazione a un fenomeno già in atto: la convergenza tra tecnologie digitali e processi sanitari. Il tema è stato al centro del Simposio Webinar “Digital & Pharma negli anni 20. Nuove opportunità di sviluppo per il Paese al tempo di COVID-19” organizzato da AFI – Associazione Farmaceutici Industria, che si è tenuto lo scorso 11 giugno. In apertura del Simposio Massimo Beccaria, Vice-President di Advice Pharma, Co-founder e CEO di daVinci Digital Therapeutics, Co-founder e CEO di Alfa Technologies International Inc., ha approfondito il concetto di «ecosistema digitale della salute» indagando le sinergie tra Big Pharma e start-up.
Il concetto di ecosistema digitale
Un ecosistema digitale, per sua natura, si ispira alla struttura degli ecosistemi naturali in particolare per gli aspetti relativi alla concorrenza e alla collaborazione tra entità diverse. Si tratta dunque di un sistema socio-tecnico aperto, distribuito, adattivo con proprietà di auto-organizzazione, scalabilità e sostenibilità.
Le caratteristiche che lo definiscono riguardano l’insieme delle tecnologie digitali in grado di migliorare lo stato di salute di una persona o popolazione, la domanda di servizi e terapie digitali migliori, la presenza di attori diversi in competizione e alla ricerca di un equilibrio continuo.
Date le premesse, all’interno dell’ecosistema digitale si è sviluppata la necessità di nuovi “soggetti”, aziende dedicate a soddisfare nuovi bisogni di prodotti e servizi: le start-up. Mentre l’esigenza di utilizzare tali prodotti e servizi è in capo alle Big Pharma.
Tipologie di collaborazione tra start-up e Big Pharma
Le tipologie di collaborazione tra queste due entità all’interno dell’ecosistema digitale possono seguire differenti percorsi. Un caso è, ad esempio, il rapporto di fornitura in cui la start-up ha sviluppato un prodotto di valore e Big Pharma acquista tale prodotto, ma non ne detiene i diritti. Non diventa suo, insomma. Altro caso è invece la partnership tra i due soggetti. Questo rapporto si attua quando la Big Company e la start-up producono insieme il progetto, in questa ipotesi il beneficio è condiviso tra gli attori. Altre tipologie di collaborazione tra le due entità sono le acquisizioni parziali (quando la Big Pharma prende parte delle quote della start-up) o quelle totali (quando la start-up viene comprata e portata nell’organico della Big Pharma). Un altro caso di collaborazione è quello dell’incubatore: qui è la Big Pharma stessa a creare un ecosistema, e da questo “ambiente” attinge le competenze necessarie al funzionamento dell’ecosistema stesso.
Le barriere alla collaborazione
Esistono dei limiti alla collaborazione tra i due soggetti legati alla loro natura specifica. In primo luogo un limite è dettato dalle differenze riguardo a visione e competenze. Le società del pharma sono legate a tempi lunghi e sono connesse beni materiali, di conseguenza l’integrazione di prodotti e servizi associata ai loro beni determina un nuovo assetto organizzativo. Le start-up sono invece connesse a beni immateriali e dedicate a innovazioni tecnologiche, in questo caso le tecnologie aiutano ad avere una velocità di sbocco sul mercato superiore. Un altro limite si riscontra nel tipo di organizzazione: se da un lato le Big Company spesso presentano un assetto organizzativo poco incline all’innovazione e votato al contenimento del rischio, in quanto in molti casi si tratta di grandi organizzazioni sparse in diversi Paesi che operano in un contesto estremamente normato (il che ha come conseguenza una scarsa “elasticità” sul fronte dell’innovazione); le start-up sono invece più “fluide” e il loro focus è tutto rivolto all’innovazione. Infine c’è la barriera legata al concetto di strategia: mentre le Big Pharma hanno una visione sul prodotto nel breve periodo, che diventa poi discontinua nel lungo periodo, le start-up hanno una prospettiva “monoprodotto”, il che le porta a tendere a capitalizzare il proprio investimento per essere vendute (e alla necessità di allineamento tra founder).
Le sinergie tra i due attori
Al di là dei potenziali limiti appena descritti, le sinergie sono evidenti, e sono legate alla richiesta da parte del mercato di standard e servizi a valore aggiunto che impongono una riflessione soprattutto lato organizzativo. Con l’inclusione di una start-up, ad esempio, l’azienda può creare valore attraverso un partner dedicato al progetto o servizio senza dover integrare nella governance aziendale le attività presidiate dal partner. Si aprono poi nuove prospettive di mercato: la possibilità di unire un servizio o una terapia digitale al proprio prodotto porta a creare un maggior valore del prodotto stesso e cambiare nel tempo le dinamiche aziendali. Un’altra sinergia interessante riguarda la fidelizzazione, dal momento che i pazienti curati con una terapia digitale sono censiti e posseggono uno storico. Una struttura di analisi del dato e gestione del digitale dà nuove prospettive nella ricerca medica, con la creazione di database per lo studio e l’analisi clinica, o lo sviluppo di applicazioni di telemedicina. Si creano, in sintesi, nuove fonti di dati in grado di tracciare tutto, con evidenti vantaggi sul fronte della ricerca e dello sviluppo in campo farmaceutico. In che porta a una trasversalità tra big pharma e start-up data dalla connessione ai “beni materiali”, come anticipato in precedenza, e quelli immateriali, e le case farmaceutiche potranno usufruire di questa sinergia.
Gli scenari futuri
Si è detto dell’accelerazione sul settore, legata alla pandemia ma anche dalla nascita di nuove esigenze legate agli ecosistemi digitali. In questo panorama si possono già ipotizzare gli scenari futuri generati dalla sinergia tra Big Pharma e start-up.
Una prospettiva evidente è quella legata alla creazione di valore diretto sul prodotto o servizio. Le Big Pharma avranno acquisito dal mercato o disporranno (anche esternamente) di soluzioni digitali direttamente connesse all’ecosistema che prevede centri di cura e pazienti. Il valore dei loro prodotti non sarà più solo materiale ma anche immateriale, e parte dei loro utili saranno legati a sistemi di servizi o terapie immateriali, come ad esempio terapie digitali in add on, reti di supporto ai pazienti con lo sviluppo di tecnologie di Artificial Intelligence e così via.
Nel caso della creazione di valore diretto sul prodotto, in accordo con la creazione di valore della catena di Porter (un modello teorizzato da Michael Porter che permette di descrivere la struttura di un’organizzazione come un insieme limitato di processi), le case farmaceutiche (HQ) inizieranno a investire con servizi a valore aggiunto sui propri prodotti disponibili sul mercato (ad esempio Psp o telemedicina). Nel caso della creazione di valore diretto con servizi si assisterà a una trasformazione organizzativa completa e allo sviluppo di tecnologie che saranno disponibili in maniera massiva e intimamente connesse ai prodotti, come ad esempio terapie digitali collegate ai prodotti, dipartimenti dedicati o connessione di aziende che lavorano in esclusiva per le Big Pharma.